21 febbraio 2018
Sidival Fila
Presentazione della nuova installazione permanente di Sidival Fila sul tema della Gerusalemme celeste nella cripta della chiesa di San Fedele.
Mercoledì 21 febbraio 2018, ore 18.30
Ago, tessuti, oggetti di recupero, fili che cuciono e ritessono tele di ieri e di oggi. L’artista brasiliano, frate
minore francescano, ormai da molti anni ha fatto dell’avventura artistica la propria vocazione. Nel suo splendido studio a Roma, nel cuore del Palatino, in un commovente convento
francescano che ha conservato intatto il suo sapore antico, si resta colpiti dalle sue opere: tele di grandi
dimensioni, piccoli quadri concepiti come miniature, colori cangianti accostati a neri antracite, a bianchi
avorio, come a costituire una splendida e raffinata sinfonia cromatica, tutto sembra fare affiorare un
intenso senso di pace, di quiete.
Il lavoro di Fila è apparentemente molto semplice. L’artista prende una tela, la piega creando pieni e
vuoti, la modella, la ridipinge. In seguito la ricuce minuziosamente, ricongiungendone i diversi punti,
ricostruendone la tessitura. La trama del nuovo tessuto che viene così a crearsi costituisce un velo
leggero, sottile, quasi trasparente. Il tessuto originario si mostra così velato, come se lo si potesse solo
intravedere. Qual è il senso di questo lavoro di tessitura, compiuto come un paziente amanuense,
riprendendo tessuti, manipolandoli, ricreandoli, dando loro nuova vita? Non si tratta certo soltanto di un
lavoro formale o concettuale. Riprendere un materiale già utilizzato, consunto, è un gesto di pietas, in cui
l’artista raccoglie un materiale che ha già assolto alla funzione per cui è stato creato, un oggetto scartato,
ormai giunto alla fine del suo viaggio. Ridipingerlo, piegarlo, ricucirlo, ricongiungerne la parti mancanti,
significa trasformarne il significato, immergendolo nella trasfigurazione della dimensione estetica. Un
tessuto, avente un proprio carattere funzionale, è ora immesso nella sfera dell’arte.
Certo, già Duchamp compie questo gesto di “battesimo” agli inizi del Novecento, riprendendo oggetti
d’uso corrente ed esibendoli come opere d’arte, dando così avvio all’arte oggettuale. In Sidival Fila,
questa “ricreazione” non è tuttavia un gesto compiuto dalla volontà dell’artista, ma nasce da un
meticoloso lavoro di artigiano, da un calmo chinarsi sul tessuto, in un lento passare del tempo che è
quello del filare, del tessere, del cucire, del ricucire. Sidival Fila si prende cura della tela, riflette con
attenzione alle sue possibilità nello spazio, al suo variare nella luce per potenziarne la carica espressiva.
L’opera è trasformata grazie a una temporalità che, come quando si sgranano i rosari, facendo scorrere
tra le dita i grani della corona, è simile a quello della preghiera, della contemplazione. Un tempo si ripete
apparentemente sempre uguale, nell’operare con quell’ago e con quel filo infinite volte, per decine di
metri.
Tuttavia, come per magia o per gioco, questo gesto umile e paziente, semplice e intimo, conduce
alla creazione di un nuovo mondo. La creazione nasce da questo prendersi cura, da questa preghiera che
segue il lento ricucire delle diverse parti della tela, facendone scaturire la bellezza, l’armonia, la sacralità.
Quel filo che ricompone, ricongiungendo e riconnettendo le diverse parti, diventa così quello della grazia
che ricuce ferite, crea impensati equilibri, fonda nuove simmetrie, plasma identità fino ad allora
sconosciute. Questo filo dà vita a nuovi riflessi, modula nuovi contrappunti, crea inediti spazi e trame di
vita.
Questo filo non copre il tessuto sottostante, ma come un filtro leggero lascia che la tela sottostante
respiri, dia origine a trasparenze sottili, si animi al cambiare della posizione dell’osservatore e del
costante mutare della luce. Questo “velo” non gli si sovrappone, ma lo protegge, lo accudisce. Il nuovo
universo ricreato da Fila si fa così metafora della vita, consegnata alla luce della grazia che ci
accompagna. Il tempo della visione della tela diventa in questo modo tempo di una contemplazione
festiva, in quanto ogni frammento della vita è riconsegnato al filo luminoso del mistero.
Andrea Dall'Asta SJ