Mats Bergquist, Daruma, 2015

Il titolo Daruma, scelto per l’opera dall’artista svedese Mats Bergquist, fa riferimento alle tradizionali bambole votive giapponesi raffiguranti il monaco buddhista indiano Bodhidharma, iniziatore della scuola Zen. Questi oggetti di devozione, dalla forma grossomodo ovoidale e dai tratti stilizzati, sono espressione simbolica dell’esaudimento di un desiderio dopo un tempo di attesa.

 

Nell’opera di Bergquist, questa attesa si trasfigura in pura contemplazione. L’uovo – immagine archetipica, ancestrale, cosmogonica – si fa scrigno prezioso o ventre fecondo, per custodire, in potenza, una nuova vita, che è anche promessa di rinascita e resurrezione. La superficie ceramica di Daruma appare scura, come velata dalla polvere del mondo che su di essa sembra essersi depositata dopo un tempo lunghissimo, lasciando tuttavia completamente inalterate la purezza e l’essenzialità della forma.

 

L’artista genera così un’immagine di intrinseca potenza visiva, nella quale è possibile leggere la sedimentazione di innumerevoli significati di respiro universale. Inserita nel sacello asburgico della cripta del Museo San Fedele, l’opera è posta in dialogo con l’imponente Senza titolo. Svelamento (2012) dell’artista greco Jannis Kounellis. Se la pesante croce celata alla vista nel sacco è un evidente rimando all’Apocalisse, l’“uovo” di Bergquist offre a questa visione escatologica, drammatica e inquietante, la prospettiva salvifica di un ritorno alla vita; si comprende dunque come la fine di tutte le cose non sia definitiva e senza speranza, ma costituisca un passaggio necessario per il raggiungimento della pienezza dell’esistenza.