G. Ambrogio Figino, Incoronazione di Maria (1583)

Il dipinto, originariamente collocato in chiesa, nella cappella del Collegio della Guastalla (dove oggi si trova l’Apparizione del Sacro Cuore di Lucio Fontana), fu probabilmente rimosso nel 1776 per le cattive condizione di conservazione e lasciò il posto alla Trasfigurazione di Bernardino Campi. Tra il 2002 e il 2005 è stato oggetto di un complesso intervento di restauro.
Nel 1569, in deroga al proposito dei gesuiti di non concedere in giuspatronato alcuna cappella della nuova chiesa, la contessa Ludovica Torelli della Guastalla destinò una cifra considerevole per la costruzione e la decorazione pittorica di una cappella allo scopo di ospitare la sepoltura delle fanciulle del Collegio da lei fondato, ma lasciando ai gesuiti libertà di scegliere come dovesse essere edificata. L’intitolazione alla Madonna fu allora coerente con il patronato di un collegio femminile.
 Il titolo di Regina è attribuito a Maria dalla tradizione cristiana almeno a partire dal IV secolo. L’appellativo entra a far parte del culto liturgico, della pietà popolare e dell’iconografia. L’incoronazione della Vergine costituisce la scena finale dei cicli dedicati alla morte e glorificazione di Maria, o rappresenta un tema devozionale indipendente in cui la Madonna figura come Madre di Dio e personificazione della Chiesa.
L’incoronazione è momento culminante del transito di Maria, scandito dalla Dormitio, dall’assunzione dell’anima e dall’assunzione del corpo. L’ascesa trionfale di Maria al trono celeste è accompagnata da angeli esultanti e musicanti fra nubi luminose. La narrazione della morte, ascensione e incoronazione della Vergine, tuttavia, non è presente nella Sacra Scrittura, bensì nei Vangeli apocrifi e nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (XIII secolo). Esistono passi significativi dell’Antico Testamento in relazione al tema, come l’incoronazione di Ester da parte di Assuero (Est 2,17) e l’esaltazione di Betsabea da parte del figlio Salomone (1Re 2,13). Nella tradizione dinastica del Regno di Davide, la regina-madre infatti aveva dignità regale ed era chiamata ghebirâh, padrona.
A differenza della Madonna in trono, nota già dal VI secolo, la rappresentazione dell’incoronazione di Maria compare solo tra XI e XII secolo nell’Europa settentrionale. Tale iconografia esalta la Vergine come regina madre che partecipa della regalità del Figlio (all’XI secolo risale l’inno Salve Regina). La nuova ghebirâh gode di fronte al Figlio del massimo prestigio.
Il tema attraversa la pittura italiana del Trecento e Quattrocento (Giotto, Beato Angelico, Giovanni Bellini, Botticelli) fino a Raffaello (Madonna di Monteluce, 1505-1525) e a Moretto (seconda metà del Cinquecento) che ne offre più di una interpretazione in obbedienza ai dettami controriformistici. Ambrogio Figino, alla fine del Cinquecento, per la chiesa di San Fedele si confronta con il tema proponendo un’immagine semplificata conforme all’iconografia tradizionale. Seduta su un trono di nubi, la Vergine a mani giunte si china per ricevere umilmente la corona dal Figlio, Re e suo Signore. Maria apre il suo cuore alla piena accoglienza della volontà salvifica di Dio, sotto l’azione dello Spirito Santo, Luce di Dio Padre che presiede dall’alto benedicendo.
La composizione dell’Incoronazione, solenne e rigorosa, con le due figure di Cristo e della Madonna simmetriche nella loro concavità, pronte a raccogliere lo Spirito che la colomba raffigura e la mano del Padre invia, è impostata secondo un modulo ad amigdala che conferisce profondità e movimento, accentuato da quello spirare di vento che muove in alto la mano del Padre.
Durante la Controriforma e dal XVII secolo al tema dell’Incoronazione si sostituisce la rappresentazione dell’Immacolata Concezione: Maria creatura senza peccato, vestita di sole, con la luna, simbolo di castità, ai suoi piedi, nuovamente incoronata da una corona di dodici stelle.

(Fonte: Chiara Paratico, Anawim. Ambrogio Figino Lena Liv, 2005)
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